Nacque a Rimini il 20 gennaio 1920 da Urbano (1894-1956) e da Ida Barbiani (1896-1984), primogenito di tre figli.
LE ORIGINI
I Fellini discendevano da una famiglia contadina dell’Appennino tosco-emiliano. Urbano, nativo di Gambettola, vicino Rimini, frequentò le scuole elementari e cominciò presto a lavorare; giovanissimo partì per Roma, dove fece il garzone di fornaio, poi tornò in Romagna, avviando un’attività di rappresentante di commercio grazie alla quale si conquistò una buona posizione economica.
A Roma il giovane fornaio conobbe Ida, dirimpettaia del forno, romana del rione Esquilino; i due cominciarono a frequentarsi ma la contrarietà della famiglia di lei indusse i giovani, nel 1919, a fuggire da Roma e a raggiungere la Romagna. Dopo le nozze i coniugi si stabilirono a Rimini e qui, quando Federico aveva appena un anno, nacque Riccardo (1921-1991) seguito, nel 1929, da Margherita. Ida si dedicò alla famiglia e fu sempre casalinga. Anche se non mancarono mai viaggi nella capitale, la vita dei Fellini si svolse in gran parte a Rimini.
Gli studi di Federico ebbero un corso regolare nella cittadina romagnola – dalle elementari (alla scuola Carlo Tonini), al ginnasio, al liceo classico Giulio Cesare nella sede di Palazzo Buonadrata – al termine dei quali decise di iscriversi all’università di Roma alla facoltà di Giurisprudenza, senza però sostenere esami. Fin da giovanissimo rivelò molta fantasia e talento nel disegno, immaginando vignette e caricature; una vena, questa, che gli consentì i primi approcci ed esperienze di lavoro.
VITA DI VIAGGI E DI FANTASIE
Solitamente la vita di Federico viene raccontata circoscrivendola da principio alla Romagna; in realtà la famiglia mantenne legami con Roma.
I viaggi tra le due città – da un lato, la cittadina di provincia sul mare raccontata dal regista in Amarcord; e, dall’altro, la grande capitale, dove nel 1937 sorse una città del cinema chiamata Cinecittà sul modello di Hollywood – alimentarono in Federico la passione per il cinema, costantemente rafforzata dalla frequentazione, fin da ragazzo, dei cinema riminesi e soprattutto del Fulgor. Qui si recava, talvolta, anche di nascosto dai genitori.
Era quella un’epoca in cui la famiglia tradizionale rappresentava uno dei cardini del regime fascista, guidato dal 1922 da Benito Mussolini, romagnolo di Predappio, maestro di scuola ed ex socialista. La famiglia mussoliniana doveva incarnare il modello patriarcale, preferibilmente in divisa. Era un’Italia che amava i simboli, le iperboli patriottiche e le leggende, una tendenza che continuò nel tempo, caratterizzandosi e creando, grazie al cinema, un bisogno di particolari molto spesso inventati.
Ne resta traccia nella stessa biografia di Fellini più volte infarcita di episodi curiosi, tesi a dare un sapore speciale e romanzesco all’infanzia del regista. È pura invenzione la circostanza della nascita avvenuta nel vagone di un treno in corsa tra Viserba e Riccione, a pochi chilometri da Rimini. Altra fandonia è quella di una sua fuga da casa a sette anni per unirsi a un circo di passaggio. Al gioco delle invenzioni partecipò con entusiasmo lo stesso regista che, per esempio, non fu mai alunno interno in un collegio, come gli piacque raccontare in 8 ½.
SOGNI & FUMETTI
Gli anni Trenta costituivano un’epoca nella quale comparivano sulle scene nuove forme di narrazioni. Disegnava molto bene Federico, ma era soprattutto spiritoso, con pochi colpi di matita o di colore riusciva a far sorridere e a conquistare le ragazze. Sapeva buttar giù scritti satirici, simpatica spuma di impertinenze, e già pensava a un giornalismo che alle parole avrebbe affiancato le immagini, secondo un gusto che si andava affermando grazie ai film e ai cinegiornali proiettati ancora in bianco e nero sugli schermi dei cinema, per quella che si annunciava come una grande rivoluzione delle percezioni.
Fellini leggeva gli stessi romanzi dei ragazzi della sua generazione, cresciuti sulle pagine di Cuore di Edmondo De Amicis e dei libri esotici e avventurosi di Emilio Salgari. «Cercavamo l’avventura», come disse Indro Montanelli, ricordando le generazioni nate agli inizi del Novecento e delle guerre coloniali in Africa. Oltre ai libri di avventura, circolava Il giornalino di Gian Burrasca di Vamba (Luigi Bertelli 1858-1920), pubblicato su rivista nel 1907-1908 e in volume per la prima volta nel 1912; un diario di impertinenze e di umori sapidi che ispirarono i disegni e gli scritti del giovane Federico. Come i suoi coetanei leggeva anche i fumetti, dei quali si appassionò, considerandoli il suo primo amore. Li disegnava e non li abbandonò mai, almeno con il pensiero, e anche quando era ormai un famoso regista accettò di collaborare con il giovane Milo Manara per storie alle quali egli stesso fornì sceneggiatura e idee visive. Fin da quando, all’età di dieci anni, aveva cominciato ad ascoltare la radio, aveva sentito parlare dei primi esperimenti televisivi; via via poi, nella seconda metà degli anni Trenta, aveva avvertito sempre più forte il richiamo del cinema tanto che l’idea di andare a vedere come lo si faceva divenne presto un sogno irresistibile.
In questi modi, come altri adolescenti, entrò in una nuova e affascinante fase della comunicazione: dalla carta stampata, che si aggiornò con reportage di giornalisti – scrittori inviati nel mondo (Montanelli, Curzio Malaparte, Gian Gaspare Napolitano e molti altri) – alle immagini in movimento, alla radio sempre attenta a nuove forme informative, con scelte vòlte a suscitare consenso verso il regime fascista e con un grande sviluppo della musica leggera e del varietà che arrivarono così a conquistare il paese. Vennero allora alla ribalta artisti destinati a diventare famosi, come Vittorio De Sica, attore brillante e cantante confidenziale nell’indimenticabile Parlami d’amore Mariù della colonna sonora di Uomini che mascalzoni diretto da Mario Camerini nel 1932.
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