PAVAROTTI, Luciano

 

PAVAROTTI, Luciano. – Nacque a Modena il 12 ottobre 1935, primogenito di Fernando (1912-2002), fornaio, e di Adele Venturi (1915-2002), operaia alla manifattura tabacchi; dal matrimonio nacque anche Gabriella (1940-2013).

Nella città natale, si avvicinò alla musica grazie alla passione del padre, tenore dilettante: con lui cantò nel coro del Duomo da bambino, nella Corale Rossini da ragazzo, nel coro del teatro Comunale da adulto. Terminata la scuola magistrale che l’avviò alla professione di insegnante, decise di studiare canto: a diciannove anni prese lezioni dal tenore Arrigo Pola, che alla bellezza naturale di una voce tenorile senza eguali seppe applicare in tre anni una tecnica sicura; a ventidue passò (insieme alla ‘sorella di latte’ Mirella Freni e al pianista Leone Magiera, suo marito) nelle mani di Ettore Campogalliani, noto insegnate di canto a Mantova, che per quattro anni ne perfezionò lo stile interpretativo. Nel frattempo lavorò come maestro elementare per due anni scolastici, poi – per stancar meno la voce – come assicuratore.

Bocciato al concorso di canto Achille Peri di Reggio nell’Emilia nel 1960, si ripresentò l’anno successivo cantando «Che gelida manina» e conquistandosi così il diritto a esibirsi in una Bohème giovanile nel teatro Municipale della città, sotto la direzione esperta di Francesco Molinari Pradelli e la regia del soprano Mafalda Favero: fu il suo debutto scenico (29 aprile 1961). Il basso della compagnia era Dmitrij Nabokov, figlio dell’autore di Lolita: non avrebbe fatto carriera, ma aveva i mezzi per registrare la recita da far sentire al padre, cosicché è possibile oggi ascoltare il primo Rodolfo di Luciano Pavarotti, personaggio con cui il tenore si identificò poi per 35 anni e 360 recite (fino a quelle del 1996 a Torino per festeggiare il centenario dell’opera). Sedeva in platea il tenore Alessandro Ziliani, ora agente teatrale, che entusiasta lo prese sotto la sua protezione. Il 14 settembre 1961 Pavarotti fece così il debutto professionale incassando 40.000 lire per La bohème al teatro del Giglio di Lucca. Il 30 settembre 1961 si sposò (testimone Ziliani) con Adua Veroni (nata il 21 febbraio 1936), conosciuta a scuola, fidanzata da otto anni: ebbero tre figlie, Lorenza (26 ottobre 1962), Cristina (8 agosto 1964) e Giuliana (9 gennaio 1967).

Con la stagione 1961-62 cominciò una regolare carriera teatrale, che per tre anni Ziliani volle limitata a parti di puro ‘tenore lirico’: La bohèmeRigolettoLa traviataLucia di LammermoorMadama Butterfly sono le sole opere che impegnarono a rotazione continua il giovane Pavarotti, dapprima nei teatri minori italiani, poi a Belgrado, Amsterdam, Vienna (dove l’ascoltò Herbert von Karajan), Dublino, Londra (dove sostituì Giuseppe Di Stefano e venne invitato alla BBC), Ankara, Budapest. Respinta l’offerta di Francesco Siciliani, che lo avrebbe voluto subito alla Scala per Guglielmo Tell, accettò invece quella del Festival di Glyndebourne, che gli offriva Idamante nell’Idomeneo di Mozart (24 luglio 1964): fu una scelta – diremmo oggi – lungimirante, che, se coltivata, avrebbe potuto aprirgli una carriera parallela di grande interesse, con esiti inediti nel recupero dell’opera del Settecento (all’epoca affidata a tenori flebili e falsettanti).

Il 1965, in occasione del debutto negli Stati Uniti (Lucia di Lammermoor a Miami), fu l’anno del nodale incontro artistico con il soprano Joan Sutherland e il direttore d’orchestra Richard Bonynge, i coniugi australiani specializzatisi nel recupero del belcanto del primo Ottocentesco: l’interminabile tournée estiva fra i teatri del loro Paese d’origine risultò per Pavarotti una scuola di tecnica e di stile («Era sempre con le mani sulla pancia di mia moglie per capire come usava il diaframma», ricorderà Bonynge a ogni occasione); grazie a loro, Bellini e Donizetti divennero gli autori di riferimento, con il primo approccio all’Elisir d’amore (Melbourne, 15 luglio 1965), titolo poi capitale nella sua carriera, e fondamentali exploit nella Sonnambula (Londra, Royal Opera House Covent Garden, 26 maggio 1965) e nella Fille du régiment (Londra, 2 giugno 1966), unica opera in lingua non italiana che Pavarotti tenne poi in repertorio, entrambe affrontate, contro l’uso invalso, con voce piena e squillante: gli estremi acuti di cui le due opere pullulano divennero così irresistibili fuochi d’artificio canori, e l’esecuzione dei nove Do acuti che costellano l’aria «Ah, mes amis, quel jour de fête!», emessi da Pavarotti con impareggiabile baldanza, finirono sui giornali di mezzo mondo. Il 1965 fu anche l’anno del debutto alla Scala di Milano, chiamatovi da Karajan per una Bohème con Mirella Freni e la regia di Franco Zeffirelli, che nelle sue varie declinazioni teatrali, filmiche e discografiche divenne poi un’icona dell’interpretazione pucciniana novecentesca: solo l’ultima recita fu riservata a Pavarotti (28 aprile 1965), ma rappresentò l’ingresso nell’agognato teatro, che gli spalancò poi le porte nelle stagioni successive (140 recite in 28 anni).

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